L’ uomo che uccise la principessa, Lucheno e la scrittura di sé
DOI :
https://doi.org/10.14428/mnemosyne.v0i5.13533Mots-clés :
narrazione di sé, esercizio spirituale, filosofia moraleRésumé
Questo contributo si propone di mostrare come l’autobiografia del ribelle possa essere considerata parte di una strategia più ampia, quella del desiderio di riconoscimento. Il lavoro ruota attorno alla vicenda di Luigi Lucheni, l’assassino di “Sissi”, l’imperatrice Elisabetta d’Austria-Ungheria. Lucheni diventa oggetto di studio per psichiatri e giuristi. Le perizie fanno emergere un ‘personaggio’. Il delitto manca di un motivo preciso e retrocede sullo sfondo, lasciando il campo al modo di essere, quello del deviante. Si profila così il mostro morale, il degenerato mosso da insane passioni. Il soggetto è indagato a fondo e la biografia diventa arma per normalizzare, rinchiudere, correggere, strategia del potere che produce sapere, cioè controstrategie. E infatti Lucheni non solo prende posizione contro la perizia di Lombroso. Inizia a scrivere un’autobiografia per mostrare che ribelli non si nasce, ma lo si diventa a causa della miseria, la stessa che spinge le madri ad abbandonare i propri bambini. Il trovatello Lucheni indaga se stesso e finisce con il riabilitare la madre, chiedendo forse ai lettori della sua autobiografia che venga fatto lo stesso con lui.